
PRATO – Condanna in primo grado a due anni di reclusione e a 500 euro di multa inflitta dal tribunale di Prato a un imprenditore che avrebbe sfruttato lavoratori stranieri nordafricani nel settore del riciclo di abbigliamento.
La sentenza ha disposto anche numerose pene accessorie, tra cui l’interdizione per due anni dagli incarichi direttivi nelle imprese e il divieto di partecipazione a contratti con la pubblica amministrazione.
Ne dà notizia oggi, con un comunicato, il procuratore di Prato, Luca Tescaroli.L’inchiesta, coordinata dalla procura pratese, era scaturita dalle denunce presentate da alcuni lavoratori africani e si è avvalsa della collaborazione del Gruppo anti sfruttamento della Asl e dei carabinieri della tenenza di Montemurlo (Prato).
Dagli accertamenti sarebbe emerso un sistema organizzato di sfruttamento, in cui i lavoratori sarebbero stati costretti a turni massacranti, retribuiti con 600-700 euro al mese per giornate lavorative effettive di nove ore, a fronte di contratti formali da sole quattro ore, nettamente inferiori rispetto alla soglia minima legale prevista dal contratto collettivo nazionale e del tutto sproporzionate rispetto all’impegno lavorativo richiesto, nessun diritto a ferie e/o assenze retribuite, con decurtazioni salariali di circa 50 euro per ogni giorno non lavorato.
Il Tribunale ha descritto un contesto produttivo degradato e insicuro, dove ai dipendenti venivano negati ferie, assenze retribuite e una retribuzione sufficiente a condurre una vita dignitosa.”A volte – si legge nella sentenza – non avevano nemmeno da mangiare”. Particolarmente gravi le condizioni in cui operavano i lavoratori africani, isolati fisicamente dagli altri dipendenti e vittime di un “trattamento ghettizzante a matrice etnica”, come definito dal giudice.
“Quel che si rileva da questa vicenda – sottolinea il procuratore Luca Tesacaroli – è senza dubbio la ‘debolezza negoziale’ palesata dagli sfruttati, ben nota all’imputato che non ha esitato ad approfittarsene per trarne un proprio vantaggio economico a discapito delle stesse vittime che, deprivate dei diritti di base, non erano riuscite ad emanciparsi e a condurre un’esistenza dignitosa”.
La Procura definisce il caso come “emblematico”, e le investigazioni avrebbero evidenziato “un sostanziale atteggiamento di discriminazione sul piano etnico, con i lavoratori africani non solo costretti a svolgere le mansioni più faticose ma anche, ripetutamente, oggetto di scherno, insulti razziali e scherzi di cattivo gusto, come quando, lo stesso imprenditore, li ha minacciati mostrando loro una pistola a salve, dando così sfoggio di un atteggiamento ‘intimidatorio’”. Assolti gli altri imputati appartenenti all’area familiare dell’imprenditore.