
Mi hanno chiesto perché il Generale Pietro Oresta, fino a
qualche giorno addietro Comandante della Scuola Marescialli e Brigadieri di
Firenze, è stato improvvisamente avvicendato. La sostituzione, secondo
alcune fonti di stampa, sarebbe dovuta ad alcune sue recenti dichiarazioni
indirizzate agli allievi e riprese in ambito social. Tra queste si possono
evidenziare l’indicazione che avrebbe maggiore impatto aiutare un anziano
ad attraversare la strada, piuttosto che recuperare un’ingente quantità di
cocaina e arrestarne i trafficanti. Oppure che le esigenze private del militare
dovrebbero essere massimamente valorizzate, anche rispetto ad ogni
istruzione o procedura.
Premetto che un esplicito commento su quanto espresso dal
collega, stimato ufficiale e con un curriculum di elevatissimo profilo, potrebbe
sembrare poco elegante. Peraltro, la sensazione è quella di parole rivolte a
una platea interna, non destinate alla pubblicazione e finalizzate a un
obiettivo di preminente rassicurazione e incoraggiamento verso giovani
marescialli, in procinto di iniziare l’impegno operativo nei vari reparti di prima
assegnazione.
Tuttavia, alcune delle tematiche emerse nella circostanza alla più vasta
attenzione qualche considerazione, pur in via generale e per la loro portata,
la meritano. Del resto, le competenze dell’Arma, come esse sono dalla stessa
esercitate e le difficoltà e i disagi che il personale incontra nello svolgerle non
sono argomenti confinabili in un contesto meramente interno.
Quanto alle funzioni dell’Arma, esse sono comprese in uno spettro vastissimo
e se è vero che i carabinieri costituiscono presidio di legalità e di sicurezza
sono anche orientati all’intervento in situazioni di disagio sociale e di pubblica
e privata necessità. Lo afferma difatti la legge che elenca i compiti dell’Arma,
da quelli militari a quelli di polizia giudiziaria e di tutela della sicurezza, fino
all’intervento nelle pubbliche calamità.
Tra le mansioni indicate, nessuna ha valore qualitativo primario. Difatti
l’Arma non privilegia l’una piuttosto che l’altra, ma si adopera per esercitarle
tutte bene, secondo necessità. Né il metodo o l’intensità con cui vengono
disimpegnate risponde a una scala di valori autonomamente definita e, men
che meno, a un indice di gradimento del pubblico.
Il proposito non può che essere quello di espletarle al meglio complessivamente,
considerando l’affidabilità e l’efficienza operativa il percorso obbligato per
conseguire l’apprezzamento di istituzioni e cittadinanza. Come non di rado
poi si concretizza.
In merito poi ai riflessi ed ai condizionamenti che l’attività di servizio riverbera
sulla vita privata di ogni militare, si tratta di una situazione inevitabile, data
dall’inderogabilità di un’attività che deve essere svolta ininterrottamente e in
ogni lembo del territorio nazionale. Ogni comandante è consapevole che
quanto più un militare è sereno, anche sul piano personale, tanto più ne
risente positivamente la qualità e i risultati dell’impegno profuso. Consegue
che a tutti i livelli è perseguito, nella misura massima del possibile, l’equilibrio
tra le esigenze del servizio e quelle private.
Il vertice dell’Arma è poi sempre alla ricerca di soluzioni organizzative e d’impiego che, compatibilmente con le norme di legge e amministrative, possano tener conto delle aspirazioni e
delle necessità di ciascun militare, con riguardo prioritario a quelle familiari.
Ma, nonostante ogni migliore propensione, prima o pi arriva il momento in cui
le due sfere entrano in collisione, quando dovere e disciplina non possono
che prevalere. Difatti, fra tutti i carabinieri che ho incontrato non mi è dato
conoscerne alcuno che, consapevolmente, non abbia dovuto imporre un
sacrificio o una rinuncia ai propri congiunti, siano essi il coniuge, i figli o i
genitori.
Ma i carabinieri hanno tempra e preparazione per affrontare questo
momento e si aspettano comprensione, ma non blandizie o paternalismi
come taluni, specie non appartenenti all’Arma, ambirebbero pensare. Anzi,
disagi e sacrifici sostanziano un nastrino ideale che mai è esibito, ma che è il
più importante e sentito da ogni militare, assai più di qualche cavalierato
condiviso con altri milioni di pur bravi concittadini.
Non è un caso che presso la nuova scuola degli allievi marescialli,
innegabilmente bruttina e improvvidamente delocalizzata in un padule di
desolata periferia, sia comunque presente un elemento che conferisce al
complesso un superiore e dirimente carattere di insopprimibile dignità.
Chiunque transiti in Viale XI Agosto, non può difatti evitare di leggere una
scritta a caratteri cubitali che sovrasta l’ingresso principale dell’edificio:
CASERMA MAR. MAGG. M.O.V.M. FELICE MARITANO.
Maritano fu combattente valoroso, internato militare in Germania, eccellente
Comandate di Stazione a presidio del territorio e a disposizione della gente.
Infine, divenne colonna insostituibile del nucleo antiterrorismo del Generale
Dalla Chiesa. Una notte del 1974 si trovò a Robbiano di Mediglia dove si
doveva smantellare uno dei più muniti covi delle brigate rosse, come poi
avvenne. Avrebbe potuto rientrare dai suoi cari, protraendosi l’operazione
ben oltre il suo turno. Ma, pur tenendo famiglia, volle continuare. Ne scaturì
uno scontro a fuoco: Maritano fu mortalmente colpito da un brigatista che pure contribuì ad arrestare.
Ogni carabiniere che oltrepassa il portone della “Caserma Maritano” di
Firenze sa di avere il dovere di provare ad essere all’altezza di un uomo così
esemplare. Questo, tutti i Comandanti della Scuola Marescialli e Brigadieri
fino al Generale Oresta hanno insegnato ai loro allievi. E questo
continueranno ad insegnare i Comandanti che subentreranno.