
Chi imbratta può essere punito severamente. Lo dice la Consulta. Stabilendo che “non è in contrasto con la Costituzione la configurazione come reato dell’imbrattamento di cose altrui”.
Con una sentenza depositata oggi, 10 luglio 2025, la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità relative all’articolo 639 del codice penale nella parte in cui contempla il reato di deturpamento e imbrattamento di cose altrui nella ipotesi base, in cui non si verificano, per modalità, natura del bene danneggiato e contesto spaziale di riferimento, le diverse e più gravi fattispecie autonome di reato previste dalla norma.
Le questioni erano state sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal tribunale di Firenze, chiamato a giudicare una persona accusata di aver imbrattato con materiale organico la porta e le pareti esterne di un immobile situato in un condominio di una zona periferica cittadina.
Il giudice fiorentino aveva espresso dubbi di costituzionalità sulla norma in questione, ritenendo vi fossero una “manifesta irragionevolezza” e un “difetto di proporzionalità” del trattamento riservato dal legislatore a un fatto che, pur offendendo un medesimo bene, ma in misura inferiore rispetto al delitto di danneggiamento, e in modo da non comprometterne la funzionalità, “ha conservato rilevanza penale nonostante l’espunzione dal codice penale e la trasformazione in illecito civile, pecuniariamente sanzionato, del ‘vecchio’ danneggiamento semplice”.
In via subordinata, il giudice di Firenze aveva denunciato il contrasto con l’articolo 3 della Costituzione in relazione alla procedibilità d’ufficio prevista dalla norma in questione.