
Pubblichiamo volentieri l’intervista che il cardinale Giuseppe Betori, già arcivescovo di Firenze, ha rilasciato a Radio Toscana sulla sua partecipazione al Conclave che ha eletto il nuovo Papa, Robert Francis Prevost, che ha preso il nome di Leone XIV
Eminenza, la prima domanda non può che essere questa, la sua emozione
personale, la responsabilità che ha sentito insieme agli altri cardinali nel partecipare
a questo Conclave.
Un conclave è sempre un evento di grande impegno per la vita della Chiesa e noi cardinali
sappiamo bene che siamo lì a rappresentare l’intero popolo di Dio, e ad interpretare la
direzione che lo Spirito Santo vuole dare alla sua Chiesa. C’è grande libertà, grande
confronto tra di noi, non ci si lascia dominare dall’evento, ma si cerca di interpretarlo
vivendolo nella fede, mettendoci il cuore, valorizzando l’esperienza che ciascuno può dare
per chiarire meglio la situazione della vita della Chiesa e quindi il Papa di cui essa e il
mondo hanno bisogno. C’è certo grande emozione, ma soprattutto responsabilità e
tentativo di leggere i tempi, questo è lo scopo del pre-conclave. Poi dopo c’è il voto, ma
quello è un secondo momento in cui si cerca di tradurre in una persona quelle che sono
state le indicazioni più significative del confronto nelle Congregazioni preparatorie.
Dopo quattro votazioni avete eletto eletto Papa il cardinale Robert Francis Prevost,
che clima c’è stato nel Conclave.
Occorre prima di tutto comprendere che il Conclave non è lo scontro tra posizioni diverse,
perché se si entrasse in Conclave con l’idea che c’è un partito, una linea da difendere,
staremmo ancora lì e per giorni e giorni. Lo scopo del Conclave è invece di trovare un
punto di convergenza di tutte le attese, di tutte le attese, ripeto, delle diverse parti, trovare
un’intesa, quindi una persona che possa interpretare l’unità della Chiesa e il suo cammino
in questo tempo. Non è difficile alla fine fare un Conclave dal punto di vista della scelta
delle persone, perché le persone le abbiamo conosciute nel tempo e poi ultimamente nelle
Congregazioni, quindi si individuano le figure che possono essere punti di riferimento,
quelle che fanno sintesi. Questo è molto importante, perché la Chiesa tende all’unità, la
Chiesa è comunione, non è divisione, non è vittoria di un partito su un altro. La logica della
votazione di Conclave è completamente diversa dalla logica politica e questo a volte
impedisce anche l’interpretazione di questi momenti da parte dell’opinione pubblica. Ma
poi la gente recupera bene il valore religioso dell’evento, perché 150 mila persone di ieri
tra Piazza San Pietro e Via della Conciliazione erano lì contente che noi cardinali
avessimo trovato un punto di unione per la comunione e la missione della Chiesa.
Cosa può dirci di questa figura e che cosa l’ha colpita delle sue prime parole?
Io non ho una profonda conoscenza della persona, se non attraverso quello che ha
manifestato ed espresso nelle Congregazioni, e poi grazie a qualche incontro personale
legato alla presenza degli Agostiniani a Firenze a Santo Spirito. Penso però che le sue
prime parole lo rivelino completamente: anzitutto la centralità di Cristo, perché non ha
chiamato a una qualsiasi pace, ma alla pace di Cristo Risorto, quella che proviene da Dio
che ci ama tutti incondizionatamente. Certo, accanto alla figura della persona di Gesù, ha
indicato subito i bisogni del mondo: la pace, la giustizia, l’attenzione agli ultimi, e in questo
si è inserito nella tradizione di tutti gli ultimi papi, dei papi in genere, ma per noi soprattutto
gli ultimi, fino a Francesco. Mi ha fatto poi molto piacere risentire il detto di Sant’Agostino
sulla bocca di un agostiniano: “con voi cristiano, per voi vescovo” che significa che lui
tiene tanto alla comunione di vita dei cristiani nella Chiesa, all’apporto che tutti devono
dare alla vita della Chiesa, dall’altra però anche alla responsabilità che l’Ordine Sacro, in
particolare l’Ordine Episcopale hanno nei confronti di tutto il popolo di Dio.
Il cardinale Prevost ha scelto un nome importante, impegnativo, Leone XIV, che è
anche legato un po’ a Firenze.
Partirei per l’origine di questo nome da Leone I, Leone Magno che difese Roma dagli
Unni, un Papa che ha dovuto affrontare il cambiamento epocale dell’Impero Romano con
l’arrivo dei nuovi popoli che venivano dalle steppe dell’Asia. Leone Magno è stato anche
uno dei grandi Papi teologi della storia della Chiesa. Poi c’è il periodo dei ‘Leoni fiorentini’:
Leone X e Leone XI, ambedue della famiglia Medici. Il primo ha favorito l’incontro della
fede con l’arte e la bellezza, ma i suoi sono anche stati tempi duri segnati dalla divisione
della Chiesa a causa della Riforma di Lutero. Leone XI, che era stato prima arcivescovo di
Firenze, ebbe invece un pontificato brevissimo.
Credo però che per la scelta del nome, il riferimento più immediato per il Papa sia stato
Leone XIII, come Papa sociale sicuramente, ma soprattutto come Papa che ha
accompagnato il rinnovamento dell’ordine agostiniano. Papa Pecci da giovane, a Carpineto
Romano, viveva accanto ad un grande convento agostiniano, fu un Papa che fece molto
per questi religiosi, inclusa la canonizzazione di Santa Rita da Cascia.
Come fiorentini abbiamo una ragione in più per essere particolarmente lieti della nomina di
Papa Leone XIV: gli agostiniani hanno una presenza storica a Firenze nella Basilica di
Santo Spirito che egli ben conosce.