
FIRENZE – Non doveva essere perquisito, il giornalista Simone Innocenti del Corriere Fiorentino, dalla Procura di Firenze che avrebbe cercato di risalire alle sue fonti. Lo scrive la Corte di Cassazione nelle motivazioni con le quali ha accolto il ricorso del cronista.
Simone Innocenti venne indagato dalla procura di Firenze per concorso nella rivelazione del segreto d’ufficio per un articolo pubblicato il 17 maggio 2024, sul caso dell’allieva suicida alla scuola Marescialli dei carabinieri. Secondo la Cassazione, il ricorso “è fondato e merita accoglimento” anche perché “la perquisizione” richiesta dalla procura di pc e cellulari “è stata deliberatamente mirata a disvelare la fonte informativa del giornalista, sebbene potenzialmente rilevante ai fini dell’individuazione del responsabile del reato” “senza alcun vera ricaduta sulle indagini, che oltre tutto sembrano essersi limitate agli accertamenti, preliminari e funzionali, volti a stabilire che si fosse effettivamente trattato di un suicidio”.
La Cassazione ha quindi accolto il ricorso presentato dalla legale del giornalista, avvocata Caterina Malavenda, e ha annullato il decreto di perquisizione. “La Procura della Repubblica ha sequestrato tutto il materiale informatico rinvenuto nei dispositivi del ricorrente con modalità invasive, senza esplorazione di modalità alternative e con palese violazione del principio di proporzionalità tra il contenuto del provvedimento ablativo, conclusosi con la duplicazione integrale delle memorie di tutti gli apparecchi rinvenuti e le esigenze di accertamenti dei fatti”, scrivono i giudici che sottolineano la mancanza dei “presupposti per la configurabilità del delitto ipotizzato di concorso in rivelazione di segreti d’ufficio, atteso che al momento della redazione dell’articolo non v’era alcuna indagine formalmente aperta sul suicidio dell’allieva Marescialla dei Carabinieri”.
La Suprema Corte ha ribadito “che in tema di rivelazione di segreti d’ufficio, ai fini della sussistenza del concorso nel reato dell’extraneus, è necessario che questi non si sia limitato a ricevere la notizia, ma abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale ad attuare la rivelazione, non essendo sufficiente ad integrare il reato la mera rivelazione a terzi della notizia coperta da segreto”.
Nelle motivazioni, i giudici sottolineano infine che “l’art. 200, comma 3, cod. proc. pen. estende ai giornalisti professionisti iscritti all’albo professionale le guarentigie riconosciute dalla legge alle altre categorie professionali indicate ‘relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione’, aggiungendo ‘che se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione delle fonti’ il giudice e non il Pubblico Ministero ‘ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni’”.