Il Sindaco Simone Londi e l’Assessore alla Memoria Lorenzo Nesi si stringono a Franco Castellani, ai nipoti e ai bisnipoti del povero Carlo, martire innocente della barbarie nazifascista.
“Proprio nell’ottantesimo anniversario della liberazione dei lager di Mauthausen e Gusen, il 5/5/1945, ed Ebensee, il 6/5/1945, arriva questa seconda sentenza di primo grado a favore dei familiari di uno dei 23 deportati da Montelupo Fiorentino nel 1944, solo 5 dei quali riuscirono rocambolescamente a tornare a casa. La famiglia riesce finalmente ad avere una sentenza che condanna il crimine efferato subito ingiustamente contro i diritti inviolabili della persona: un segnale di giustizia dopo tanta sofferenza.”
Mercoledì partiranno da Montelupo, con i pullman dell’ANED di zona, 25 persone, tra cui 18 studenti della scuola media, per il consueto Viaggio della Memoria nei lager austriaci. Il gruppo sarà guidato dalla Consigliera comunale delegata alla Memoria Martina Meoli, che nel 2018 affrontò il viaggio da studentessa.
Il Comune, oltre ad aver promosso un proprio ricorso contro la Germania, ha coordinato i familiari dei deportati nell’inseguire questo lontano barlume di giustizia.
BIOGRAFIA
Carlo Castellani detto “Carlino”
Nato nel gennaio 1909 a Fibbiana di Montelupo Fiorentino e ucciso nel lager di Gusen nell’agosto del 1944. Numero attribuito nei lager: 57026, prigioniero politico italiano.
Di mestiere calciatore, poi commerciante di legname nella ditta del padre David. Aveva due sorelle, Giuseppina e Clara, che morirono entrambe giovanissime di spagnola. La famiglia Castellani era di idee socialiste e, avendo un’attività in proprio, non pativa la fame.
Nell’immediato dopoguerra la famiglia donò alcuni locali al Comune perché realizzasse a Fibbiana la scuola elementare fino alla classe quinta.
La deportazione
Nella notte del 7 marzo 1944, la notte dell’odio — citando il titolo di un libro dello storico locale Alfio Dini — la guardia comunale Orazio Nardini, alcuni polizei della RSI e Carabinieri si aggirarono per Montelupo rastrellando con l’inganno le persone iscritte in una lista di 30 nomi. “Il Maresciallo ti vuole parlare!”: questo l’invito perentorio a salire su un camion, che seguiva i forti colpi risuonati sui portoni nella notte.
L’ordine di rastrellamento giunto dal III Reich fu dato in risposta agli scioperi di inizio marzo convocati dal CLN clandestino, affiancato dalla requisizione delle Scuole Leopoldine di piazza S. Maria Novella a Firenze, da usare come campo di raccolta prima delle deportazioni da Firenze, Prato e dall’Empolese.
A Montelupo nessuno aveva scioperato, ma i repubblichini utilizzarono quella ghiotta opportunità per togliersi di mezzo oppositori, antifascisti, ma anche seguaci di Mussolini che non avevano aderito alla Repubblica di Salò dopo l’armistizio.
Nella lista dei 30 c’era anche David Castellani, commerciante in legname, classe 1877, di Fibbiana, che non aveva mai preso la tessera del regime, simpatizzante socialista. A iscriverlo fu un certo Bertelli, esponente del direttorio e concorrente in affari dei Castellani: probabilmente, oltre a voler dare una lezione a una famiglia non allineata, pensava di togliersi di torno uno scomodo concorrente.
Il fato volle che David fosse malato, e a rispondere affacciandosi alla finestra fu il povero Carlo che, vista la presenza del Nardini, che conosceva bene, non si preoccupò più di tanto e si offrì di andare a sentire cosa il Maresciallo dei Carabinieri volesse dal padre anziano. “Torno subito”, disse alla moglie Irma e ai due bambini piccoli, che dopo quella notte non videro più il padre.
Carlo Castellani era commerciante in legname col padre, aveva una segheria ed era molto conosciuto perché era stato attaccante dell’Empoli Calcio (record di goal battuto solo in tempi recenti da Francesco Tavano) e del Livorno in Serie A.
Quando venne deportato a Mauthausen aveva 35 anni.
Come tutti gli altri fu prima portato dai Carabinieri a Montelupo, poi alla caserma in piazza della Stazione a Firenze, a Villa Triste, e infine alle Scuole Leopoldine.
Proprio lì vi fu un momento in cui i soldati tedeschi si resero conto che tra i montelupini non vi erano scioperanti, e li stavano per rilasciare, come fecero per il solo Marchese Amerigo Antinori.
Per caso, però, passò in quel momento il terribile torturatore Mario Carità con la figlia, che rassicurò l’ufficiale germanico sentenziando che anch’essi erano pericolosi oppositori e meritavano la sorte degli scioperanti.
Poi vennero tradotti nei vagoni bestiame in partenza dalla stazione di Santa Maria Novella, con quello che sarà poi battezzato il “Trasporto 32”, verso Mauthausen, sul Danubio, in Alta Austria, allora parte del Reich. Il suo numero nel campo, dove arrivarono l’11 marzo dopo tre giorni di viaggio, fu il 57026.
Dopo la quarantena fu trasferito nell’enorme sottocampo di Gusen, poco distante, insieme al compagno Ateo Rovai, che sopravvisse, e a un altro montelupino, Oreste Mancioli, deportato da Pontedera (PI) il 10 giugno e anch’esso assassinato.
Si narra che a Mauthausen Carlo incontrò Vittorio Staccione, centrocampista del Torino e della Fiorentina, e Ferdinando Valletti, mediano del Milan, e che i soldati tedeschi li coinvolsero in un’epica partita di calcio tra guardie e prigionieri. Partita di cui, però, non vi sono prove documentali.
Carlo Castellani, nel lager di Gusen, a causa delle terribili condizioni di lavoro, dell’igiene e del rancio calcolato appositamente per far sopravvivere i prigionieri solo pochi mesi, nonostante il fisico sportivo, si ammalò di dissenteria.
Ateo Rovai l’ultima sera andò a trovarlo in infermeria (Revier) e Carlo gli confidò “di patire come Cristo in croce”: la mattina dopo non lo trovò più. I nazisti lo avevano già passato per il camino, forse ancora morente.

Depositata dal Tribunale di Firenze la sentenza su Carlo Castellani favorevole al figlio
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