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La caduta del Muro di Berlino: dopo 35 anni ancora due Germanie. E le guerre non più fredde, ma capaci di provocare stragi

La caduta del Muro di Berlino: dopo 35 anni ancora due Germanie. E le guerre non più fredde, ma capaci di provocare stragi

La caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre del 1989 (Foto d’archivio)

Con il “Muro di Berlino” che si sgretolava, in quell’incredibile notte del 9 novembre 1989, ci illudemmo che fosse finito tutto: la guerra fredda, la corsa agli armamenti nucleari, la scomparsa di ogni conflitto dalla faccia della Terra. Ci guardiamo incontro, 35 anni dopo, e mezzo mondo si preoccupa per la vittoria di Donald Trump, Putin continua ad attaccare l’Ucraina, Israele non riesce a placare la sua sete di vendetta nemmeno con i 40-50mila morti a Gaza e fuori dalla Striscia.

Gli ideali che trionfarono in quella notte dovevano portare a una svolta vera. Invece guardando da una parte ai cupi scenari internazionali, con le due guerre e le minacce alle democrazie e i nodi irrisolti in Germania, sembra che non sia cambiato nulla. Con un governo tedesco in crisi e un Paese ancora di fatto diviso, dove nell’est l’ultradestra continua a crescere tra le crepe di un modello liberale che non ha prodotto i frutti sperati dopo la fine del regime comunista.

Il 9 novembre 2024, nella capitale tedesca è trascorso all’insegna della “festa della libertà”. Tra una commemorazione al memoriale del Muro con il presidente Frank-Walter Steinmeier, che ha onorato le almeno 140 persone uccise nel tentativo di fuggire dalla Ddr, ed uno spettacolo di musica e luci alla Porta di Brandeburgo di Berlino, sul percorso della barriera di cemento che aveva tagliato in due la città dal 1961.

E poi ancora mostre, installazioni e conferenze con attivisti-pro democrazia da tutto il mondo, tra cui la leader dell’opposizione bielorussa Svetlana Tikhanovskaya e il dissidente iraniano Masih Alinejad. Arrivati per testimoniare quanto gli autoritarismi siano una costante minaccia alle conquiste di libertà di cui la caduta del Muro è simbolo.

Quel giorno del 1989 fu “uno dei momenti più gioiosi della storia mondiale”, ha sottolineato la ministra della cultura tedesca Claudia Roth, ma oggi in Germania di quella gioia sempre esserci rimasta pochissima traccia. A Berlino l’esecutivo semaforo di socialdemocratici, liberali e verdi è vicino al capolinea, dopo il licenziamento del ministro delle Finanze Lindner. Tanto che Scholz è stato costretto a considerare l’ipotesi di elezioni anticipate, all’inizio del 2025.

Il Paese, del resto, è sull’orlo della recessione e la crisi è accentuata proprio dalle divisioni tra est e ovest che la dissoluzione della cortina di ferro avrebbe dovuto ricomporre. La maggior parte dei tedeschi dell’ex Ddr è ancora grata per la fine del regime, ma molti hanno ancora ricordi infelici dell’arroganza percepita dei tedeschi dell’allora Repubblica federale che li avrebbero dovuti accogliere.

Un risentimento che negli anni si è acuito per il divario non colmato su redditi e pensioni. In questa prateria di malcontento si sono imposte forze politiche anti-establishment, come l’estrema destra dell’Afd e i rosso-bruni del Bsw, anticapitalisti e amici della Russia. Il partito euroscettico e anti-migranti di Alternative fur Deutschland, in particolare, alle elezioni di settembre nei lander orientali ha registrato un boom, ottenendo il voto di un cittadino su tre.

L’estrema destra ha sfidato il primato delle forze tradizionali in Sassonia e Brandeburgo ed ha trionfato in Turingia. Non era mai accaduto dai tempi del nazismo. Ed ora, con l’implosione, a Berlino, della coalizione liberale guidata da Scholz, i partiti populisti sono pronti a guadagnare ulteriore terreno.

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