
FIRENZE – Fondazione in memoria dell’autore di un femminicidio a Prato? Si può fare, dice il Tar della Toscana, purché l’ente non porti il nome dell’assassino. Il Tar, in maniera sorprendente, ha dato il via libera alla famiglia del ragazzo di creare una fondazione in memoria del figlio. La notizia è stata riportata da “La Nazione”.
“Ho fatto della battaglia contro la violenza sulle donne una ragione di vita, da quando mia sorella è stata uccisa sette anni fa. Sentire adesso che la famiglia dell’omicida può creare una fondazione dedicata al figlio mi fa male”. Elena Amato è la sorella di Elisa, la giovane pratese uccisa il 26 maggio 2018 dall’ex fidanzato, Federico Zini, a colpi di pistola. Elisa aveva solo 29 anni quando Federico, 25 anni, la raggiunse sotto casa a Prato e, dopo una colluttazione, la spinse dentro l’auto del padre e le sparò. Non accettava la fine della relazione.
Federico girovagò in auto con il corpo della ragazza accanto fino a San Miniato (Pisa), dove viveva con la famiglia, fermò l’auto nel parcheggio del campo sportivo dove giocava a calcio e rivolse l’arma contro se stesso. Ricordare quella tragedia per la famiglia di Elisa è una sofferenza, soprattutto ora per i contorni grotteschi che ha assunto la decisione della famiglia di Federico, in particolare del padre Maurizio, di creare una fondazione contro la violenza sulle donne a nome del figlio.
L’idea della fondazione fu lanciata pochi mesi dopo l’omicidio-suicidio e sollevò una valanga di polemiche e due raccolte firme. Diversi Comuni toscani, fra cui quello di Prato, dove abitava Elisa e quelli del Pisano, dove viveva Federico, si opposero. A mettere fine – almeno sembrava – alle polemiche fu il «no» della Regione Toscana che non autorizzò l’iscrizione della fondazione nel registro Registro unico nazionale del terzo settore (Runts).
La storia sembrava finita lì, ma dopo 7 anni la famiglia ha ottenuto ragione dal Tar a cui era ricorsa dopo il rigetto del primo ricorso. La fondazione si potrà fare, purché nel nome non abbia riferimenti a Federico Zini e a patto che vengano fatte alcune modifiche allo statuto.
«Non sapevo che la famiglia fosse andata avanti in questo progetto – prosegue Elena Amato, sorpresa e insieme dispiaciuta -. Ha speso soldi in avvocati per anni pur di fare la fondazione. Non è colpa loro per quello che è accaduto a mia sorella, però non abbiamo mai ricevuto un messaggio di scuse, se non per vie traverse. Non ci hanno mai contattato, magari, per fare qualcosa insieme, per intitolare qualcosa a mia sorella. Si tende sempre a vittimizzare gli assassini e a colpevolizzare le vittime. So che anche l’altra famiglia sta soffrendo, ma questi non possono essere i termini con cui affrontare certi temi».
Non è chiaro come la famiglia Zini intenda chiamare la fondazione. Maurizio Zini, raggiunto al telefono, non ha fornito spiegazioni né sul nome né su quali saranno gli scopi. Ha detto solo: «Non rilascio dichiarazioni».
«Mi riservo di capire meglio le finalità – conclude invece Elena Amato -. Non ho intenzione di andare per vie legali ma, se necessario, farò una campagna per oppormi. Spero che le istituzioni e i centri antiviolenza mi possano seguire».