
Gli stipendi italiani tornano a crescere, ma non tengono il passo con l’inflazione. Rispetto all’inizio del 2019, i salari contrattuali per dipendente segnano un +10,1% contro il +21,6% dell’inflazione armonizzata. Non è molto lusinghiero il Rapporto Istat del 2025, dal quale emerge che il 23,1% degli italiani è a rischio di povertà o esclusione sociale su livelli analoghi al 2023, e che la corsa del Pil appare ferma e al di sotto di quella degli altri Paesi europei.
“Nell’ultimo biennio, le retribuzioni contrattuali hanno iniziato a recuperare in termini reali ma in misura insufficiente a coprire il ritardo maturato negli anni precedenti: rispetto a gennaio 2019, la perdita di potere d’acquisto per dipendente era superiore al 15 per cento a fine 2022 ed è ancora pari al 10,0% a marzo 2025”, ha detto il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, illustrando il rapporto alla Camera.
Per le retribuzioni lorde di fatto per dipendente l’aumento nominale è del 13% circa a fronte di una crescita dei prezzi al consumo armonizzati del 18%, con la differenza che si basano sulle prestazioni lavorative effettive e includono gli effetti di eventuali accordi aziendali e individuali e dei cambiamenti nella composizione dell’occupazione intervenuti di anno in anno. Nel periodo 2019-24, rispetto alle retribuzioni contrattuali, segnano una perdita di potere d’acquisto del 4,4% contro il 2,6% francese e l’1,3% tedesco, mentre in Spagna il potere d’acquisto sale del 3,9%.
“Nel 2024, il consolidamento del rientro da una fase di elevata inflazione e l’espansione dell’occupazione rappresentano risultati positivi per il nostro Paese, che tuttavia non devono farci dimenticare i vincoli alla crescita e gli squilibri che inibiscono uno sviluppo più sostenibile e inclusivo”, ha osservato Chelli. Le famiglie in povertà assoluta sono infatti 2,2 milioni (8,4% del totale) nel 2023, mentre gli individui coinvolti sono circa 5,7 milioni di persone, pari al 9,7% della popolazione residente.
Il Pil ha registrato un +0,7% come nel 2023, contro il +1,2% della Francia e il +3,2% della Spagna. Dal 2000 al 2024, l’Italia segna un +9,3% contro il +30% circa di Parigi e Berlino e il +45% di Madrid. L’attività economica italiana ha subito una battuta d’arresto nella parte centrale del 2024, seguita da una ripresa, confermata nei primi mesi dell’anno corrente. Le previsioni più recenti per il 2025, però, sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente dell’incertezza alimentata dai dazi.
Chelli ha poi parlato di ostacoli “particolarmente gravosi per le giovani generazioni, ridotte nel numero ma più istruite rispetto alle precedenti, benché spesso caratterizza te da livelli di reddito e opportunità di occupazione più contenuti rispetto agli altri maggiori paesi dell’Ue”, è l’avvertimento di Chelli. L’occupazione è cresciuta dell’1,5%, ma la produttività per occupato è calata dello 0,9%. L’aumento delle persone occupate in Italia è infatti trainato settori a bassa produttività. Tra il 2000 e il 2024 il numero è aumentato del 16%, in linea con Francia e Germania, come rileva il rapporto.
Tuttavia, la crescita è sostenuta soprattutto dalle attività dei servizi a basso contenuto tecnologico e ad alta intensità di lavoro, e non compensata dall’espansione delle attività a produttività elevata. Ne deriva che il Pil per occupato in Italia si è ridotto del 5,8% (mentre in Francia, Germania e Spagna è cresciuto di circa l’11-12%).