
Contano i numeri, quando si fanno i bilanci: e quelli di Menarini Group sono stratosferici, almeno per la realtà italiana. Ma svettano anche nel panorama internazionale. A partire dal nuovo balzo, con record per il fatturato consolidato di Menarini, player appunto con proiezione internazionale nel campo farmaceutico: nel 2024 ha raggiunto i 4,603 miliardi di euro rispetto ai 4,375 del 2023, con un incremento pari a 228 milioni (+5,2%).
Il margine operativo lordo (Ebitda) si attesterà tra i 430 e i 460 milioni di euro (contro i 350 milioni del 2023). I risultati sono stati annunciati questa sera nel corso del tradizionale appuntamento annuale del Board di Menarini con la stampa, che si è tenuto nell’Auditorium della Camera di Commercio di Firenze.
Hanno fatto gli onori di casa e dato le notizie Lucia Aleotti, azionista e componente del Board di Menarini, ed Elcin Barker Ergun, Ceo della casa farmaceutica fiorentina.
“Con il fatturato del 2024 abbiamo conseguito un risultato più che soddisfacente – ha Lucia detto Aleotti – Gli investimenti in ricerca e sviluppo ammontano a 500 milioni di euro, che significa l’11% del fatturato farmaceutico, anche questo in crescita rispetto ai 476 milioni dello scorso anno”.
Il Gruppo, ha aggiunto Aleotti, “è passata attraverso 2-3 anni di sfide importanti, rappresentate dalla scadenza dei brevetti di due farmaci molto importanti, con una diminuzione del fatturato della nostra azienda superiore ai 300 milioni. Poter commentare oggi che non solo l’azienda ha recuperato questi 300 milioni, ma è arrivata a superare i 4,6 miliardi, è per noi veramente motivo di soddisfazione”.
Il 96 per cento del fatturato, è stato precisato, proviene dal settore farmaceutico mentre il 3% deriva della diagnostica. Il 79% del fatturato è realizzato fuori dall’Italia: Menarini è presente in 140 paesi del mondo (con filiali, distributori e licenziatari). Anche il numero dei dipendenti ha raggiunto il suo massimo storico dalla fondazione dell’Azienda nel 1886: al 31 dicembre 2024 era di 17.800 unità, mentre nel 2020 erano 16.750. Il 91% dei dipendenti sono laureati e tecnici. I 18 stabilimenti produttivi, con l’Europa che è il cuore del Gruppo, hanno prodotto complessivamente 609 milioni di confezioni.
E dopo queste cifre? Lucia Aleotti ha rincarato la dose: “Ci aspettiamo un 2025 in linea con gli anni precedenti, quindi un anno di crescita dove siamo pronti a rispondere a difficoltà che comunque negli ultimi anni o ogni anno si presentano a livello di qualche area geografica”.
E ancora: “L’elemento forte della nostra azienda è la scelta di continuare a investire massicciamente in ricerca e sviluppo. Ricordo che l’investimento del 2024 ha toccato i 500 milioni, che significa l’11% del nostro fatturato farmaceutico, questo grazie alla volontà dell’azienda di reinvestire la totalità dei propri utili all’interno della dell’azienda stessa per rafforzarla e continuare il percorso di crescita”
I dazi americani? Lucia Aleotti ha detto di non temerli. Le fa invece paura la politica miope dell’Europa. Con dazi addirittura autoinflitti, come ha sottolineato Mario Draghi.
“L’Europa – ha aggiunto Lucia Aleotti – si è fatta e si fa male da sola. Il presidente Draghi recentemente ha parlato di dazi auto inflitti dall’Unione Europea, imponendo su sè stessa regole, burocrazie, tracciature, obblighi, obblighi, obblighi, obblighi. Meno di 10 anni fa le aziende americane erano al primo posto nel mondo per numero di sperimentazioni cliniche globali; al secondo posto c’erano le aziende europee, abbastanza vicino, e lontanissime, infinitamente lontano, c’erano le aziende cinesi. C’è stato un ribaltamento in cui le aziende europee sono crollate nel numero di sperimentazioni cliniche a livello globale, e tutto ciò che è stato perso in termini di numerosità è stato guadagnato dalle aziende cinesi che hanno anche grande spinta dal loro governo a innovare, a diventare competitive”.
“Purtroppo l’Unione Europea – ha aggiunto Aleotti – ha voluto imprigionare lo spirito imprenditoriale, e non c’è niente di peggio di distruggere la spinta che ha l’imprenditore nel fare, nel rischiare, nel volersi vedere competitivo a livello globale: imprigionato da una ragnatela di regole e di obblighi che non tengono minimamente in considerazione la situazione globale della competizione. Io amo questo settore: è il settore più nobile, più ricco di ricerca, di scienza e di beneficio per il mondo, che l’Europa si sta facendo scappare con scelte assolutamente miopi”.