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Referendum flop: Schlein e Landini fanno spallucce. Ma nessuno si dimette. I riformisti: “Gran regalo a Giorgia Meloni”

Referendum flop: Schlein e Landini fanno spallucce. Ma nessuno si dimette. I riformisti: “Gran regalo a Giorgia Meloni”

Giuseppe Conte, Maurizio Landini ed Elly Schlein
(Foto d’archivio)

Nemmeno in Emilia Romagna e in Toscana, il referendum ha raggiunto il quorum. Elly Schlein e Maurizio Landini fanno spallucce. Dimissioni? Landini: “Non ci penso nemmeno”. Il Centrosinistra prova ad autoassolversi anche se il dato dell’affluenza è stato insufficiente e la sconfitta in una battaglia combattuta tutti insieme in prima linea brucia eccome. Tuttavia, la delusione non appare così grande da azzoppare la volontà di continuare – piano piano, poco alla volta – a provare l’esperimento unitario. Ma politicamente il referendum flop è stato un errore colossale. La spallata al governo era un’illusione. La vecchia Dc insegnava: “Mai fare una battaglia senza la certezza di vincerla.

RIFORMISTI – Per ora la delusione è celata dietro l’entusiasmo per i 300 mila portati a Roma al corteo per Gaza si impone sullo sconforto per la sconfitta nei quesiti su lavoro e cittadinanza. Se contraccolpi ci saranno, saranno legati al riacutizzarsi dei maldipancia interni al Pd, che potrebbero distogliere le energie della segretaria Elly Schlein, sempre “testardamente” impegnata nella creazione di un’alleanza. A urne appena chiuse, i riformisti del Pd le hanno subito fatto capire che intendono farle pesare il fatto di aver coinvolto il partito in un’impresa che loro ritenevano sbagliata. E che è stata persa.

BONACCINI – Anche per il presidente Pd, Stefano Bonaccini, leader della minoranza interna, sempre cauto nella polemica, “quando oltre due terzi degli italiani non rispondono è necessario riflettere”. L’europarlamentare Pina Picierno, una fra le voci più critiche con Schlein, è stata invece diretta: “E’ stato un regalo enorme a Giorgia Meloni”. Ma la segretaria non si è mossa di un centimetro: “Era giusto così”, ha risposto. Che implica un sostanziale: “E vado avanti così”. Insomma, il clima interno è destinato a salire. Quello con i papabili alleati invece resta buono. Tutti i leader progressisti – cioè di Pd, M5s e Avs – hanno sostanzialmente commentato allo stesso modo: guardiamo al bicchiere mezzo pieno e ripartiamo da qua. Con un ragionamento sui numeri che magari matematicamente regge, ma politicamente si vedrà. Che è questo: la premier Giorgia Meloni stia attenta, perché ha puntato sull’ astensionismo, ma gli elettori sono stati 14 milioni, cioè più di quelli che votarono l’attuale maggioranza alle politiche del 2022. Il messaggio che le è arrivato – è la conclusione delle opposizioni – è di sfiducia.

LANDINI – Infatti, Schlein, il presidente del M5s Giuseppe Conte e anche i leader di Avs, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli si sono spinti in un proponimento per sé misto ad avvertimento per Meloni: partiamo da questo 30% di affluenza per costruire l’alternativa. Certo è che l’equazione fra i votanti ai referendum e il potenziale elettorale anti-Meloni è tutta da dimostrare. Ma, in mancanza di meglio, i leader di centrosinistra sono partiti da qua. Per alcuni di loro, il bicchiere è mezzo pieno anche sulla base di un’altra considerazione. Il segretario della Cgil Maurizio Landini l’ha sempre smentita, ma gli osservatori hanno letto nei referendum anche una sua ambizione al ruolo di federatore del centrosinistra. E’ stata la Cgil, infatti, a promuovere i quesiti sul lavoro.

CAMPAGNA ACQUISTI – Il fallimento della consultazione – è il ragionamento che circola nei corridoi del Parlamento – non è una buona partenza, non sarebbe una carta che Landini potrebbe spendere in un’eventuale corsa da leader. Che è già piuttosto affollata. C’è poi l’area centrista, che questi referendum li ha sostenuti con pochissima convinzione. Il presidente di Iv, Matteo Renzi, non ha comunque cambiato idea. L’ambizione a entrare nella coalizione che sfiderà Meloni è rimasta: “Facciamolo insieme sui temi concreti. Si può fare, ma serve meno ideologia e più politica”. Mentre il segretario di Azione, Carlo Calenda, ha approfittato delle polemiche interne al Pd per lanciare la campagna acquisti: “E’ tempo che i riformisti di qualsiasi schieramento prendano atto che occorre costruire un’area liberale lontano dal campo largo e dalla destra sovranista”.

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