Mentre Mosca esulta e arriva a offendere pesantemente Zelensky dopo lo scontro dello Studio Ovale con Trump, e nel momento in cui i leader europei, compresa Giorgia Meloni, stanno arrivando a Londra per ritrovare l’unità dell’Occidente e assicurare nuovo sostegno a Kiev, il primo ministro britannico, Keir Starmer, abbraccia il presidente ucraino. Affermando: “Resteremo con voi fino alla fine”.
STARMER – Poche parole, ma importantissime per Volodymyr Zelensky, che ha riattraversato l’oceano per anticipare di un giorno il faccia a faccia con il premier britannico Keir Starmer. Con il capo del governo del Paese storicamente più vicino agli Usa fra i partner occidentali, ma anche più vicino agli sforzi militari di Kiev in questi tre anni di guerra con la Russia di Vladimir Putin – previsto in origine poco prima del summit domenicale. A Londra è stato ricevuto con tutt’altra accoglienza dal primo ministro laburista di Sua Maestà, fra abbracci, sorrisi, un insistito “very very welcome” e attestazioni di fedeltà all’impegno per un sostegno “incrollabile” all’Ucraina fino alla fine.
RE CARLO – Nonché dall’annuncio di un incontro fuori programma anche con re Carlo III, sottolineatura cerimoniale all’insegna del rispetto. “Sono felice di avere amici e partner come voi”, ha reagito con espressione di sollievo l’ospite. Verso il quale non è mancata tuttavia la garbata sollecitazione – anticipata al “caro Volodymyr” attraverso gli schermi della Bbc dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, ancor prima che da sir Keir – a valutare un passo indietro: per “riparare” in un modo o nell’altro “i rapporti con Donald Trump e con l’amministrazione americana”, nel nome della volontà proclamata di ricomporre una qualche unità “fra Usa, Ucraina ed Europa”: indicata come premessa necessaria di “una pace giusta e duratura”.
TRUMP – Richiami a cui Zelensky aveva risposto già nelle ore precedenti provando ad abbassare i toni, ma senza chinare il capo dopo l’umiliazione subita ieri nello Studio Ovale sotto gli occhi di una sterminata platea globale, oltre che di leader amici e nemici. “Il sostegno del presidente Trump è cruciale per noi”, ha ammesso, twittando dal suo profilo X a margine del viaggio fra Washington e Londra, dopo aver atteso per un’ora – come si è appreso solo oggi – di poter essere riammesso ieri a riprendere il colloquio con The Donald una volta esaurita la sfuriata del presidente; e magari anche di firmare il cosiddetto accordo sulle terre rare. Salvo essere di fatto cacciato via dal segretario di Stato, Marco Rubio. Trump “vuole mettere fine alla guerra” ed è “comprensibile” che voglia dialogare con Putin, gli è poi venuto incontro, non senza aggiungere che “nessuno vuole la pace più di noi”. E quindi ricordare come gli Usa abbiano sempre “parlato di una pace attraverso la forza”.
NIENTE SCUSE – Non ha del resto raccolto le intimazioni americane a scusarsi con il nuovo padrone della Casa Bianca, affermando in un’intervista a Fox di non ritenere di “dover chiedere scusa a nessuno”; e, anzi, rivendicando l’utilità di “essere onesti e diretti sui nostri obiettivi comuni”. Invece delle scuse, si sono moltiplicati a decine i suoi “grazie” – quei grazie che Vance gli aveva rinfacciato di non voler pronunciare – all’indirizzo sia dell’America, “per l’aiuto vitale che ha contribuito a farci sopravvivere” a tre anni di guerra, sia dello stesso Donald Trump. Ma i ringraziamenti da soli non bastano, mentre da Washington rimbalza addirittura la minaccia di un’interruzione tout court delle forniture belliche e di tutto il sostegno a Kiev, senza il quale – a meno di miracoli da parte dell’Europa – il destino dell’Ucraina potrebbe essere segnato in tempi ancor più brevi di quanto s’intravveda al momento.
LEADER EUROPEI – E mentre lo sforzo dei leader in arrivo a Londra (inclusa Giorgia Meloni) per una riunione dal formato mai sperimentato prima (con Francia, Germania, Italia, Danimarca, Olanda, Norvegia, Polonia, Spagna, Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca, Romania, Turchia e Canada accanto a Regno Unito e Ucraina, oltre ai vertici di Nato e Ue) resta incagliato dietro il nodo delle “garanzie di sicurezza” americane. Quelle garanzie – insostituibili per rassicurare davvero Kiev da future ipotetiche mire russe – su cui il no di Trump appare in queste ore più granitico che mai.