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Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Intervista a Rosa Barone presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Toscana.

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Intervista a Rosa Barone presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Toscana.

Il 21 novembre scorso è stato presentato in Regione Toscana il rapporto annuale sulla violenza di genere. In aumento il numero di casi di accesso al codice rosa ai pronto soccorso toscani, ma anche delle donne che si rivolgono ai centri di ascolto territoriali per maltrattamento. Sono 6 i casi di femminicidio nel 2023 in Toscana, 170 negli ultimi 17 anni.
Toscana Post ha già pubblicato la nota della Regione con i dati del rapporto, è possibile trovarla a questo link per approfondire i numeri di accesso a tutti i servizi e avere il quadro della rilevanza del fenomeno: https://www.toscana-post.it/cronaca/rapporto-sulla-violenza-di-genere-140-femminicidi-in-toscana-dal-2006-al-2023/
La violenza è perlopiù nelle mura domestiche, riguarda le famiglie italiane con percentuali maggiori, ma anche le famiglie straniere ed è presente in tutte le culture e in tutti i territori della regione. Un fenomeno drammatico che ci impone una riflessione, ma soprattutto un lavoro costante, riguarda ognuna e ognuno di noi e dobbiamo farcene carico.
Abbiamo chiesto delle riflessioni a caldo, subito dopo la presentazione del rapporto, a Rosa Barone presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Toscana, alcune riflessioni nel merito, un commento dei numeri, ma anche un racconto degli strumenti che oggi abbiamo o non abbiamo per incidere nella risoluzione di questa emergenza sociale.

Il rapporto sulla violenza di genere presentato dalla Regione Toscana, racconta di una situazione comunque molto difficile anche nella nostra regione, quale è la sua opinione da osservatrice privilegiata?
La situazione rimane difficile e i dati sono sempre allarmanti. Non c’è solo quello che ci consegnano i media, femminicidi e storie con esiti drammatici, ma ci sono anche tantissime storie di maltrattamenti che rimangono silenziose, come i dati del rapporto dimostrano. Dobbiamo avere una chiave di lettura adeguata. Quello che emerge non è un aumento dei casi di violenza, ma un’emersione dei casi di violenza. Proprio perché si tratta di un problema culturale, anni fa la violenza era solo quella dei casi di cronaca nera, oggi per una maggiore consapevolezza, molti dei casi di violenza non rimangono più fra le mura di casa. L’attenzione al tema dà una maggiore propensione alla donna a denunciare e a farli emergere. Dobbiamo fare attenzione a non cadere nella lettura che a volte viene semplice di impennate dei dati o di fenomeno in crescita spropositato. Oggi possiamo avere una lettura consapevole del fenomeno e sappiamo che il lavoro di sensibilizzazione e di accrescimento della consapevolezza della donna aumenta la capacità di riconoscere la violenza e denunciarla. La situazione è quindi ancora molto complessa, ma non va data una lettura allarmistica, porterebbe a non comprendere la causa. La causa della violenza alla donna è strutturale, quello che succede adesso è l’emersione.

Che tipo di lavoro fanno le assistenti sociali in caso di violenza su una donna e con quali strumenti?

Le assistenti sociali hanno un ruolo fondamentale all’interno delle reti antiviolenza ed emerge anche dalla ricerca fatta all’interno del rapporto. In Toscana il nostro lavoro è centrale nel Codice Rosa, la rete dei servizi socio assistenziali, esperienza lungimirante toscana, oggi diventata legge dello stato con DPCM del 2017 che obbliga tutti i servizi socio sanitari a mettersi in rete per rilevare la violenza e per occuparsene. Il decreto riconosce nella violenza di genere un problema di salute pubblica e spinge tutti i servizi a farsi carico oltre della cura rispetto ai maltrattamenti fisici, anche alla tutela e alla protezione. Le assistenti sociali sono le figure privilegiate per ascoltare, capire e rilevare la violenza e sono anche presenti in tutte le reti di servizi e in tutto il percorso a partire dalla prevenzione, fino alla gestione dei casi più gravi in collegamento con tutti gli altri servizi quando c’è bisogno di allontanare la donna dal maltrattante che spesso è il marito o compagno.

Nella rete di ascolto assistenza e tutela alla donna vittima di violenza, la Toscana che tipo di organizzazione ha? Quali strumenti dovrebbe implementare ?

La Toscana è una regione virtuosa perché ormai da molti anni lavora sul tema. Si parte dalla prevenzione, aspetto fondamentale per lavorare sulla causa della violenza che è prima di tutto culturale. In Toscana si fanno progetti con le scuole e i giovani per educazione all’affettività e alla sessualità, per vedere con occhi nuovi rispetto agli stereotipi di genere i rapporti fra persone. Un ruolo fondamentale in questo lo hanno i consultori. Sempre più importanti sono i CUAV, centri per uomini autori di violenza, sempre di più le norme invitano alla implementazione di questi servizi, perché se un uomo si è reso colpevole di violenza può entrare un percorso di aiuto alla consapevolezza dei propri comportamenti e a un’assunzione di responsabilità con un lavoro anche terapeutico
La donna che è vittima di violenza, quando entra in pronto soccorso e dichiara la violenza, accede al “codice rosa”, parte un protocollo ormai consolidato. Alla vittima viene assegnato un codice, nel giro di pochi minuti viene allontanata dalla sala d’aspetto e portata nella “stanza rosa”, un luogo protetto per l’ascolto. Lì si predispone per poter refertare e repertare; un lavoro fondamentale per poi ottenere giustizia, si prepara una documentazione fotografica e di racconti rispetto ai maltrattamenti, alle ferite e ai fatti.
Se la donna non vuol tornare a casa esiste la possibilità del “pronto intervento sociale”, l’ assistente sociale viene mandato in pronto soccorso e insieme ai medici sviluppa un progetto di dimissione dall’ospedale e di accompagnamento verso strutture individuate per le prime 72 ore, pagate dal servizio sanitario. Il pronto intervento sociale è stato sperimentato e presto sarà attivo in tutta la regione, consente di mettere in protezione la donna vittima di violenza e avere il tempo di fare il passaggio alle reti territoriali come le case rifugio o le reti anti violenza a seconda del percorso individuato e personalizzato. Servizio molto importante anche perché i dati dimostrano che l’escalation di violenza arriva proprio nel momento in cui la donna sceglie di svincolarsi, ma è altrettanto vero che fare questa scelta spesso è molto difficile. Molte donne infatti scelgono di tornare a casa, la vittima in quel momento non è sufficientemente lucida, è provata dal maltrattante, ha comportamenti ambivalenti, tanta è la voglia di reagire e uscire dalla violenza, ma tante sono le motivazioni per non lasciare casa: le conseguenze per i figli, l’affidarsi completamente ai servizi perdendo anche quel poco di controllo della propria vita.
Altri strumenti fondamentali sono, sui territori, le reti antiviolenza zonale che lavorano con i centri di ascolto, in cui sono anche psicologi, avvocati. Lì si fa un lavoro anche di sostegno psicologico e legale. Oltre a questo esistono oggi protocolli per il lavoro, per l’autonomia abitativa, quindi anche per accompagnare la donna a ricostruirsi una vita.
Quello che in Toscana può essere migliorato è che tutto questo diventi davvero un reale sistema, alcune di questi strumenti sono state sperimentazioni o progetti che ora devono essere messi a sistema e ancora di più integrati e collegati per un un’unica rete che si attiva dalla prevenzione fino all’assistenza e alla creazione di autonomia.
Oltre a questo è fondamentale il rapporto con l’autorità giudiziaria, oggi il percorso per ottenere giustizia è lunghissimo e pieno di episodi di vittimizzazione secondaria, le donne per ottenere giustizia soffrono e subiscono ulteriori pene, anche nella magistratura c’è bisogno di un cambio culturale e di specializzazione dei magistrati all’ascolto delle vittime.

La violenza di genere è prima di tutto un problema culturale, il patriarcato è ancora forte nel contesto sociale come retaggio culturale. Cosa si potrebbe e dovrebbe fare?

La violenza è un fenomeno endemico, strutturale e ha una matrice culturale. La problematica culturale investe sia le donne che gli uomini che sono intrappolati in stereotipi che la società ci impone. Gli uomini sono responsabili delle scelte che fanno rispetto alla violenza sulla donna, arrivano all’estremo comportamento per uno squilibrio di potere che fa considerare la donna proprietà dell’uomo. Questo deriva da un sistema culturale e sociale in cui siamo tutte e tutti inseriti.
La convenzione di Istanbul già dice tutto rispetto a quello che deve essere fatto per rimuovere le cause che alimentano la violenza. Sono chiare le strategie che servono, ci vogliono azioni sistematiche che partono dalle scuole per aiutare a destrutturare gli stereotipi a partire dalle nuove generazioni per guardare alle relazioni fra persone e generi in maniera diversa e liberi da pregiudizi. Dobbiamo dare pari opportunità alle donne: il diritto ad avere gli stessi compensi sul lavoro, il riconoscimento del valore, l’accesso alle carriere e il poter riconoscere ruoli da sempre maschili alle donne. Per questo anche la questione del linguaggio e dei termini al femminile rispetto al ruolo lavorativo diventa fondamentale. Le parole in italiano al femminile esistono, ma la matrice culturale non ce le fa usare.

Il ministro Valditara ha definito chiuso il patriarcato dopo la modifica normativa degli anni 70, considerandolo solo un aspetto ideologico e ha citato l’immigrazione come una delle cause della violenza di genere. Come commenta queste affermazioni?

Non esiste il patriarcato dei primi anni del Novecento, c’è un’evoluzione e questa evoluzione è merito soprattutto delle donne, ma non si può negare che oggi c’è un nuovo patriarcato che va analizzato, conosciuto e destrutturato. Se lo neghiamo, si affronta il problema senza intervenire sulla causa e non arriveremo mai a risolverlo. Lo spostamento che Valditara ha fatto sugli stranieri è anch’esso un problema culturale: amiamo pensare che il problema ce l’hanno altri e non noi, ma il problema della violenza di genere fa parte di tutte le culture, compresa la nostra. Leggere bene il fenomeno è fondamentale e il nuovo patriarcato secondo i dati è una delle cause della violenza.

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