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Israele – Palestina, ad un anno dall’attacco di Hamas. Il commento del professore Alberto Tonini

Israele – Palestina, ad un anno dall’attacco di Hamas. Il commento del professore Alberto Tonini

Esattamente un anno fa, Il 7 ottobre 2023, Hamas attaccava Israele con un atto terroristico senza precedenti, provocando la morte di 1.200 persone di cui tantissimi civili: uomini, donne, bambini, anziani che vivevano nelle città vicine al confine. Contemporaneamente 250 persone vennero prese in ostaggio, molte delle quali ancora oggi nelle mani di Hamas. Non tardò ad arrivare la risposta di Israele che pochi giorni dopo invase Gaza e iniziò una vera e propria devastazione, distruggendo interi quartieri, strade, scuole, ospedali. I palestinesi che hanno perso la vita nei mesi di guerra, con un bilancio ancora in aggiornamento, sono più di 41.000. Nessun negoziato per un cessate il fuoco e per il rilascio degli ostaggi fino ad ora ha funzionato e il conflitto ha avuto un escalation di violenza, fino ad essersi allargato al Libano, contro Hezbollah con l'uccisione dei suoi leader da parte di Israele. Tra il 5 e il 6 ottobre, un altro attacco di Israele a Gaza ha distrutto una moschea e provocato altri 21 morti. Oggi siamo in attesa dell'attacco all'Iran annunciato da Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano.

Una situazione sicuramente drammatica che rischia sempre più di allargarsi, un conflitto, quello fra Israele e Palestina che dura da decenni senza mai trovare una soluzione, ne abbiamo voluto parlare con Alberto Tonini, Professore di Storia delle Relazioni Internazionali e Storia del Vicino Oriente alla Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri e Direttore del Master in Mediterranean Studies dell'Università di Firenze.

Questo il suo intervento che lui titola: "L'urgenza di liberarsi dagli estremismi"

"Il 7 ottobre 2023, quale che sia l’opinione di ciascuno, ha senza dubbio rappresentato un momento di svolta nella lunga storia della contesa fra israeliani e palestinesi.

E’ stato un evento che ha portato alla luce, anche agli occhi di un osservatore occasionale, la durezza della contrapposizione fra i due opposti estremismi. Da un lato, l’azione feroce e omicida di Hamas (che si configura in tutto e per tutto come un atto di terrorismo), che in un solo giorno ho provocato la morte violenta di 1.200 civili inermi e il rapimento di oltre 200 ostaggi

Dall’altro, la reazione furiosa e sproporzionata da parte delle autorità israeliane, che ha inflitto lutti e sofferenze alla popolazione civile di Gaza, ritenendo in modo arbitrario di poter attribuire una responsabilità collettiva a tutti i residenti nella Striscia per ciò che è avvenuto il 7 ottobre scorso.

Il movimento Hamas ha la gravissima responsabilità di aver illuso i palestinesi che fosse possibile praticare violenza e ferocia per provocare un dolore così acuto alla controparte, fino al punto di indurla a rinunciare alla contesa e a ritirarsi dai territori palestinesi.

Il governo israeliano, da parte sua, ha tramutato la legittima difesa in cieca vendetta, violando ripetutamente le più elementari norme che regolano l’esercizio della forza armata.

L’argomento a sostegno di Hamas, secondo il quale chi subisce un’occupazione nemica ha il diritto di combattere contro quel regime di occupazione, viene affossato nel preciso istante in cui i miliziani di Hamas hanno deliberatamente ucciso civili inermi e hanno catturato ostaggi non combattenti. Entrambe queste tipologie di azioni rientrano fra i crimini di guerra. Non solo: entrambe queste azioni violano i principi e valori che sono fra i fondamenti della fede islamica.

L’argomento a favore delle autorità israeliane, secondo il quale chi viene attaccato a tutti i diritti di reagire per difendersi, trova un suo limite invalicabile nella proporzionalità che deve essere - sempre – mantenuta fra il danno ricevuto e la magnitudo della propria reazione.

La mancata applicazione del principio di proporzionalità si configura a sua volta come un crimine di guerra. E ciò dovrebbe invitare alla moderazione - prima di altri - proprio quella che si è soliti indicare come la sola democrazia del Medio Oriente.

Solo la rinuncia agli opposti estremismi, solo la volontà di riconoscere i propri errori, solo la capacità di comprendere le ragioni che alimentano la diffidenza reciproca potranno portare israeliani e palestinesi fuori dall’attuale spirale di dolore e di morte. E’ una strada difficile e impervia, ma è la sola alternativa alla guerra perenne e alla distruzione reciproca."

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